Per parlare brevemente di pubblicità (ci sarebbe un intero libro da scrivere) prendo in prestito l’aggettivo “liquido”, che ha aperto il millennio in cui stiamo vivendo grazie a Zygmunt Bauman[1] e che a mio avviso continua a fornire una descrizione efficace e puntuale della situazione.
Mi spingo a fare, con le dovute precisazioni, questo parallelismo: possiamo parlare di pubblicità liquida intendendo con questa definizione una pubblicità che ha spazzato via i confini tradizionali tra i vari media. Una pubblicità che non crede più nello strapotere della televisione, ma allo stesso tempo non può farne a meno. Una pubblicità frammentata in tanti diversi luoghi del nostro quotidiano, che spesso si camuffa per qualcosa che non è, con il rischio che diventi occulta. Una pubblicità che si può accendere e spegnere, come ci insegna Facebook, a seconda delle esigenze, tenere attiva anche solo per pochi giorni, a differenza di quello a cui ci aveva abituato la Tv. Una pubblicità fluida, che proprio per questo suo voler essere ovunque a volte rischia di essere un gran buco nell’acqua o, peggio, generare grosse incomprensioni. Tutto può diventare oggetto sociale di conversazione passando da un medium all’altro nel giro di pochissimo tempo, ma analogamente può crearsi un effetto boomerang. L’epic fail di Enel e della sua campagna cross-mediale “Guerrieri”, nel 2013, è rimasta un caso di scuola: l’invito rivolto agli utenti a condividere le proprie storie di vita quotidiana sui social è diventato in poco tempo un pretesto per scatenare la propria frustrazione, virale, nei confronti dell’operatore elettrico.
Dal punto di vista del Brand, questa dinamicità sprona ad essere sempre sull’attenti e a non dare mai nulla per scontato. Soprattutto, a valutare bene sforzi richiesti in relazione agli obiettivi.
Dal punto di vista del consumatore, c’è il rischio, se non la certezza, che tutta questa sovraesposizione ai messaggi pubblicitari generi un desiderio perennemente insoddisfatto. La nostra vita può essere densissima di eventi, sensazioni, beni, ma, nella migliore delle ipotesi, tutto sembra fermarsi nella dimensione di un presente dilatato. Anche se raggiungiamo un obiettivo, l’asticella si sposta perennemente in avanti, spinta da una dinamica consumistica famelica. “È evidente che le persone acquistano oggi molto di più ma trovano in questo meno piacere” – scrive Barry Schwartz nel suo libro The paradox of choice[2].
Ancora una volta, la soluzione non è nel negare o provare ad opporsi a questi fenomeni, ma nel comprenderli e riconoscerli.
[1] Bauman Z., Modernità liquida, Editori Laterza, 2000
[2] Schwartz B., The Paradox of Choice: Why More Is Less, HarperCollins, 2009